Dal Brasile o dalla Costa Rica? Tramite l’importazione incontrollata di piante ornamentali oppure per unasperimentazione voluta e finita male? Quella che appare come la trama di una spy story diventa un’accreditata pista di indagine sull’introduzione in Puglia del batterio da quarantena Xylella fastidiosa. Coincidenze, tante. E ora anche qualche testimonianza ritenuta credibile: la Procura di Lecce da un anno cerca di raggomitolare la matassa per provare a spiegare perché continuano a seccare gli ulivi del Salento e per dare un nome ai responsabili del reato di “diffusione colposa di una malattia delle piante”.La presenza del patogeno, considerato tra le cause della moria di alberi, “presenta aspetti che potrebbero andare oltre la fatalità”, dice Gian Carlo Caselli, ex procuratore capo di Torino e presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura. Ha coordinato il terzo rapporto sulle agromafie: il primo capitolo è dedicato alla vicenda salentina. Quel report, promosso da Coldiretti, è stato realizzato assieme all’Eurispes, il cui presidente, Gian Maria Fara, si spinge anche oltre: “È una vicenda unica. Per i suoi contorni e implicazioni, non ha eguali. Che Xylella sia stata importata è un fatto, come pure che in questa storia paiono esserci tutti i presupposti di una guerra chimica o batteriologica”. Una fantasia? Mica tanto, almeno a leggere gli studi fatti nel 2008 dalla rete europea di batteriologi,costituitasi nell’ambito dell’iniziativa COST 873: “Di tutte le specie batteriche elencate, solo Ca. Liberibacter spp. e Xylella fastidiosa, entrambi patogeni per gli agrumi, potrebbero essere considerate tali da soddisfare i criteri proposti per le armi biologiche. La coltura di agrumi è la base delle industrie di succhi e frutta, aziende che sono così grandi che gravi danni per loro potrebbero avere significative conseguenze per queste economie negli Stati Uniti e nell’Europa, dove l’agente patogeno non è ancora presente”.Ora è arrivato e ha puntato dritto alla (mono)coltura della Puglia meridionale, l’olivo. Certo, al momento, certezze non ce ne sono, a parte quelle relative ai danni di produzione e d’immagine di una terra emergente come il Salento. “Ci sono, però, concomitanze anomale, strane, tanto da far ipotizzare – e ad oggi solo ipotizzare – che potrebbero esserci profili ed aspetti non casuali”. Gian Carlo Caselli pesa ogni parola e aggiunge: “Nessuna ipotesi si può trascurare, almeno fino a quando non verranno concluse le indagini. Tramite il capitolo curato dal sociologo Luigi Russo, abbiamo ritenuto fosse il caso di lanciare un sasso nello stagno. E qualcosa si è mosso. Vedremo alla fine cosa verrà a galla. Ad oggi, sono tante le ombre da diradare”.

Il fascicolo in mano alle pm Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci è a carico di ignoti. A rimescolare le carte sono le relazioni consegnate pochi giorni fa dalla Forestale e dai consulenti tecnici: non si può affermare che la Xylella fastidiosa isolata nel Gallipolino provenga “verosimilmente” dalla Costa Rica, come sostenuto finora dai ricercatori che studiano a Bari il fenomeno. Anzi, per gli inquirenti resta aperta un’altra strada, quella che porta in Brasile.E la differenza è netta: mentre dal primo Paese sono stati importati milioni di oleandri che potrebbero aver veicolato il batterio, dal secondo no. Ecco perché si rafforza la pista di una possibile sperimentazione: lì è sì presente una subspecie diversa, ma per gli investigatori non è escluso che il genoma possa essere stato modificato.

Non è un luogo come un altro, in questa storia, il Brasile. Lì è stato per la prima volta sequenziato il Dna del batterio, con un progetto di ricerca che, nel 2002, ha dato vita ad Alellyx, società che studia le piante resistenti a Xylella e acquistata nel 2008 dal colosso di sementi transgeniche Monsanto. C’entra qualcosa? È una domanda a cui la Procura intende dare risposta.

Sono ipotesi, si diceva. Tuttavia, la magistratura non se la sente di tralasciare nulla. Neppure che uno dei tasselli possa essere ilworkshop internazionale tenutosi presso l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari. Organizzato su spinta dell’olandese Jaap Janse, coordinatore della rete Cost 873 di cui sopra, ha “fornito gli strumenti di diagnosi e controllo per prevenire l’introduzione e l’eventuale disseminazione del batterio in Europa”. Era l’ottobre 2010, tre anni prima che venisse lanciato l’allarme sul territorio. In quella sede, per la prima volta, sono stati introdotti in Italiacampioni da analizzare del patogeno. Si ritiene estraneo, lo Iam: “È stato dimostrato come non sia stato possibile che ilfocolaio del batterio generato per motivi di studio e subito distrutto si sia poi diffuso ad oltre duecento chilometri di distanza”, nel Leccese. Su ciò le indagini, come dichiarato dalla pm Mignone, sono destinate ad arenarsi: in virtù della legge 159 del 2000, varata nell’epoca del governo Amato, l’Istituto, che è organismo internazionale, gode di una immunità giurisdizionale che rende inviolabili immobili, archivi e personale. Dunque, sarà impossibile effettuare perquisizioni, confische, sequestri. “Ma questo – replicano dallo Iam – nulla attiene o afferisce all’inchiesta in corso”.

 

Salento, ulivi e xylella: facciamo chiarezza

Si chiama “Complesso del disseccamento rapido” la malattia che sta colpendo l’olivicoltura pugliese, che rappresenta circa il 30% della produzione nazionale. La soluzione proposta da Commissione europea, Regione Puglia e CNR è l’eradicazione delle piante affette, e sostiene l’esigenza di utilizzare pesticidi in tutta l’area. Secondo alcune associazioni e comitati, supportati dall’Università del Salento, sarebbe possibile intervenire in modo meno invasivo

In Puglia l’olio è oro, gli uliveti sono le miniere dal quale si ricava. Qui l’ulivo è paesaggio, storia, turismo. E significa posti di lavoro. Secondo l’Istat, la regione rappresenta il 30% della produzione olivicola italiana. Il comparto regionale produce 522 milioni di euro l’anno. Cifre che sono lo specchio di un ramificato tessuto imprenditoriale: sono 270mila le imprese olivicole esistenti, pari al 22% delle aziende italiane. Olio in Puglia significa anche prodotto a denominazione di origine protetta (Dop), con il fatturato più alto in Italia, pari a circa 28 milioni di euro. 
L’olio è il terzo prodotto pugliese più esportato, per un valore di circa 106 milioni di euro, pari a quasi il 9% dell’export di olio dall’Italia. Numeri che presto potrebbero essere rivisti, alla luce di quello sta accadendo in Salento, dove gli ulivi stanno seccando. Il disseccamento parte dalle foglie, risale risucchiando i rami fino a rendere l’albero uno scheletro di legno. Il problema è affrontato da una task force di scienziati, composta da Ufficio Fitosanitario regionale e Cnr di Bari. Uno di questi tecnici è Donato Boscia, del Cnr di Bari, che ha stimato gli alberi malati intorno al milione. Antonio Guario, ex dirigente dell’ufficio fitosanitario, ha dichiarato che la pianta infetta non può guarire. La malattia si chiama Complesso del disseccamento rapido dell’olivo. Gli alberi quindi seccano per una concausa di elementi tra i quali vi è un fungo, il Phaeoacremonium, un lepidottero, la Zeuzera pyrina, e un batterio parassita, la Xylella fastidiosa. 
Per la task force il vero problema è quest’ultimo. “Si tratta di un batterio parassita che non si era mai presentato in Europa e soprattutto non aveva mai attaccato l’ulivo. Dove è stato riscontrato, in California e in Brasile, è stato in grado di annientare migliaia di ettari di vite e agrumi” spiega sempre Guario.Il batterio, inoculato da una cicala, agisce sull’albero ostruendo i vasi xilematici e bloccando il passaggio della linfa che alimenta la pianta. Da qui il disseccamento. 

L’intera provincia di Lecce è infetta e la malattia può diffondersi, superare i confini del Salento e minacciare gli uliveti di altri territori. Per vicinanza la prima provincia a rischio è quella di Brindisi. Proprio in questo territorio, ad Oria, è stato trovato un nuovo focolaio della malattia su alcun ulivi che dovranno essere abbattuti. Tuttavia, mentre la task force barese produceva i propri studi, si è formato un variegato movimento di opinione, formato da comitati civici e scienziati dell’Università del Salento, che contesta la gestione dell’emergenza. Molti si sono riuniti nel comitato “Voce dell’ulivo”, altri fanno riferimento a “Spazi Popolari”, un’associazione che si occupa di agricoltura biologica. “Oggi non possiamo affermare che xylella sia la principale causa del disseccamento dell’ulivo, per il semplice fatto che non sono ancora stati svolti i test di patogenicità (i cosiddetti Postulati di Koch) sul batterio. Se non si fanno prima i test, dato che è la prima volta che questo organismo si rapporta con l’olivo, non possiamo sapere quanto possa essere dannoso da solo, in mancanza di altre agenti. Come ad esempio funghi patogeni che sono stati trovati sugli stessi ulivi” afferma Luigi De Bellis, direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali dell’Università del Salento. 
Le associazioni contestano l’allarmismo. Sono considerati pochi i ritrovamenti di xylella (582) sugli alberi analizzati in tutta la regione (20mila). Una obiezione alla quale Boscia, del Cnr, replica: “Quel numero è rappresentativo di un numero molto più grande. Il criterio è questo: ogni volta che viene segnalato un focolaio di disseccamento analizziamo poche piante perché già sappiamo, per l’esperienza che abbiamo acquisito, che dove c’è disseccamento si trova xylella. Ad Oria, per esempio, dove abbiamo trovato un grande focolaio, abbiamo preso solo tre campioni che sono risultati tutti e tre positivi a xylella. Sarebbe un inutile spreco di energie umane e finanziarie fare un monitoraggio capillare per scoprire quante sono le piante infette”. 

La preoccupazione delle associazioni si poggia su una certezza: xylella è un patogeno da quarantena inserito nell’elenco A1 dell’Eppo (European and Mediterranean Plant Protection Organization).Dopo i disastri compiuti negli Stati Uniti e in Brasile, xylella è iscritta nella lista nera della Comunità Europea e per contrastarla sono previste misure drastiche, tra cui l’eradicazione degli alberi infetti e il massiccio utilizzo di fitofarmaci. “Prima di avvelenare il territorio e renderlo un deserto vogliamo certezze scientifiche” afferma Ivano Gioffreda, portavoce di Spazi Popolari. D’altro canto gli scienziati della task force affermano che non c’è più tempo, xylella è stata trovata e bisogna applicare le misure che impone la Comunità Europea. Il ritrovamento del patogeno è finito anche nell’ultimo rapporto sulle Agromafie, realizzato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. “Lo strano caso della Xylella fastidiosa” è il titolo del primo capitolo del rapporto, ed è la prima volta che una fitopatologia viene accostata alla parola mafia. Molte le ipotesi speculative scritte dal giornalista e sociologo Luigi Russo, autore del capitolo. Ci si chiede come sia arrivata xylella nel Salento e a chi possa convenire. Giancarlo Caselli, ex procuratore capo di Torino e coordinatore del rapporto, ha dichiarato che la presenza del patogeno “presenta aspetti che potrebbero andare oltre la fatalità”. Intanto la Procura di Lecce ha aperto un fascicolo per il reato di “diffusione colposa di malattia della pianta”. 

Sul fronte politico il 6 febbraio scorso è stata emanata una determina della Regione Puglia che prevede l’utilizzo, a partire da maggio, di interventi chimici obbligatori su tutti gli uliveti, frutteti e alberi ornamentali della provincia di Lecce. Saranno anche obbligatori, si legge sulla determina, “interventi con prodotti insetticidi a spot su macchia mediterranea residuale, muretti a secco, superfici abbandonate purché verdi e quindi attrattive per i vettori”. Sì, perché oltre l’ulivo sono 300 le specie vegetali potenzialmente suscettibili a xylella. Tradotto significa pioggia di prodotti chimici su gran parte del territorio salentino.

L’emergere di forme di opposizione al provvimento non sono tardate, anche perché qui la cultura della chimica in agricoltura ha già attecchito pesantemente: secondo i dati dell’Arpa la Puglia, dopo Veneto, Emilia Romagna e Sicilia, è al quarto posto in Italia per utilizzo di fitofarmaci. Nel 2012 in provincia di Lecce c’è stato un aumento del 15% rispetto al 2009. Anche la “Lega italiana per la lotta contro i tumori” ha contestato le misure, affermando che “la cura è peggio della malattia. I rischi per la salute umana sono altissimi”. Una settimana dopo l’uscita della determina è stato nominato un commissario straordinario per l’emergenza. Si tratta di Giuseppe Silletti, Comandante del Corpo Forestale della Regione Puglia, che ha redatto un piano d’intervento per contrastare la malattia. Il piano ha ridotto l’utilizzo dei prodotti chimici solo agli insetticidi per contrastare il vettore del batterio. Saranno utilizzati su tutti gli uliveti e su tutti i frutteti del genere Prunus, come ciliegio, pesco, mandorlo. All’interno del piano è prevista anche l’eradicazione delle piante infette, che coinvolgerà una fascia di 15 chilometri al confine con la provincia di Brindisi (l’Ue preme per un allargamento della fascia a 20 chilometri). Prescrizioni che continuano a non convincere. Giovanni Melcarne, portavoce del comitato “Voce dell’ulivo” e presidente del Consorzio di tutela dell’olio Dop Terra d’Otranto, ha affermato: “Il piano non ci piace se significa insetticidi per tutto il territorio salentino. A questo punto preferiamo morire con gli ulivi ma non per gli ulivi”. Inoltre in ballo non c’è solo la salute delle persone, ma anche quella di attività economiche fiorenti, come il biologico e l’apicoltura. Dal 2008 ad oggi le aziende bio nel leccese sono quasi raddoppiate. L’utilizzo obbligatorio dei fitofarmaci mette a rischio tutte queste certificazioni.

Rocco Moscatello è un agricoltore biologico, uno dei dieci soci della cooperativa Amrita con sede a Scorrano, profondo Sud Salento. L’azienda è attiva dal 1991, quando ancora non esisteva il primo regolamento Cee sul biologico. Adesso, dopo quasi 25 anni di attività, rischia di chiudere: “Con queste misure tutte le attività biologiche moriranno. Dovremmo utilizzare insetticidi sulla vegetazione spontanea dei campi coltivati e sugli alberi di ulivo, mandorlo e altri frutteti. Questo su tutti i campi del Salento. Tra l’altro noi lavoriamo proprio con l’inerbimento sui nostri uliveti, perché mantiene l’humus del terreno. Se dovessimo usare questi insetticidi distruggeremmo tutto il nostro mercato, tutta la rete di acquirenti che ci siamo creati in decenni di lavoro”. 
Secondo Ivano Gioffreda, le cui tesi sono state portate da Peaclink in Commissione Europea, ci sarebbero altri metodi per combattere la malattia. Sul proprio uliveto l’agricoltore ha cominciato ad attuare delle pratiche di agricoltura organica rigenerativa. La sperimentazione sembrerebbe avere successo: le piante che un anno fa erano secche sarebbero ritornate verdi. Altri proprietari di appezzamenti hanno seguito il suo esempio e anche Copagri (Confederazione Produttori Agricoli), Università di Foggia e Università del Salento stanno attuando una sperimentazione solo con prodotti bio-sostenibili per aiutare la pianta a reagire all’attacco del patogeno. 

La sfida più grande è però un’altra: rendere gli alberi nuovamente produttivi. Oltre alla foglia deve rispuntare il frutto, l’oliva. Perché altrimenti l’alternativa secondo gli scienziati della task force è una sola: eradicazione delle piante e ricerca di cultivar resistenti al batterio. Un aspetto che preoccupa le associazioni per eventuali aperture della ricerca agli ogm. Al riguardo Donato Boscia afferma: “In questo periodo storico gli ogm sono vietati. Quindi per adesso è inutile parlarne. Però ormai non c’è tempo da perdere, cure per gli alberi malati non ce ne sono. La Comunità Europea deve finanziare la ricerca su forme resistenti di ulivo in natura. Al mondo c’è ne sono 1.500 diverse. Una resistente a xylella ci sarà. Poi, più in là, se ce ne sarà bisogno discuteremo di ogm”.