Campi Colti
Agricoltori produttori e consumattori per l'autodeterminazione alimentare
Syngenta, DuPont, Monsanto: la guerra dei dinosauri dell’industria agroalimentare
Categories: Mercati

Quaderno 115 del Grupo Etc Dicembre 2015

Campo Giurassico

Syngenta, DuPont, Monsanto: la guerra dei dinosauri dell’industria agroalimentare

Il gruppo ETC esamina il consolidamento corporativo in quattro settori della produzione agricola: semi,pesticidi, fertilizzanti chimici e macchinari agricoli.

Con un’entrata totale di 385 miliardi di dollari all’anno, queste imprese impongono le proprie condizioni. Chi dominerà la catena alimentare industriale? Cosa significa questo per gli agricoltori, la sovranità alimentare e la giustizia climatica?

Il problema
Le sei grandi corporazioni agrochimiche transnazionali che dominano i mercati globali di semi e pesticidi
(BASF, Bayer, Dow, DuPont, Monsanto e Syngenta) ora insistono sul dover diventare più grandi e rapide se il mondo desidera sicurezza alimentare in un contesto di caos climatico. Secondo la logica delle grandi aziende agroalimentari, le pressioni estreme esercitate dall’aumento della popolazione mondiale, dall’aumento della domanda di carne e dalla crisi climatica, esigono l’avanzata della “Grande Scienza” e del “Grande Business”, il che significa fusioni tra imprese lungo tutta la catena alimentare industriale.

La posta in gioco
Il destino delle sei grandi imprese che dominano i mercati di semi e pesticidi (e il loro mercato da 93 miliardi di dollari all’anno) costituiscono la posta in gioco.
Nonostante la loro insistente retorica sull’ “agricoltura climaticamente intelligente”, le loro strategie di
ricerca e sviluppo collassano e tra le imprese stesse ci sono più venditori che compratori.
Allo stesso tempo, il gigantesco mercato dei fertilizzanti chimici (175 miliardi di dollari all’anno), produttori intensivi di gas effetto serra, è al centro delle controversie sorte nell’ambito dei negoziati sul cambiamento climatico e pretende di diventare il mantra dell’”agricoltura intelligente” per proteggere i suoi ricavi.
Le quattro imprese che controllano il 56% del mercato dell’industria dei macchinari agricoli (valutato
attorno ai 116 miliardi di dollari all’anno), possiedono già strumenti robotizzati, inoltre stanno acquisendo il software (tecnologia di gestione dei dati, monitoraggio e vigilanza satellitare) e stanno pensando di
acquistare il giro d’affari dei software di base biologica semi e pesticidi).
Tuttavia, anche se è ancora troppo presto per sapere quali imprese o settori diventeranno i fornitori
monopolistici della produzione agricola, la cosa certa è che i rami industriali dei macchinari agricoli, semi,
fertilizzanti e agrochimici sono oggi legati come mai prima d’ora: la Monsanto collabora con le tre principali imprese mondiali di macchine agricole (Deere&Co., CNH Industrial e AGCO). Dal canto suo, la Deere mantiene alleanze strategiche con cinque delle sei grandi imprese di pesticidi e semi.
In ultima istanza, l’impresa che controllerà l’informazione sulla qualità dei suoli, gli storici standard del clima e i rendimenti delle coltivazioni, così come le tecnologie robotiche per il deposito di semi, pesticidi e
fertilizzanti, sarà quella che otterrà più benefici dai contratti di assicurazione dei raccolti che, sempre di più, determinano il costo della produzione per i produttori agricoli.
Nel breve termine, i grandi cambiamenti arriveranno dalle imprese dedicate alla produzione di semi e
pesticidi, però nel medio termine bisognerà fare attenzione al comportamento delle imprese di fertilizzanti e macchinari agricoli, perché queste potrebbero determinare in ultima istanza le regole del gioco.

Le politiche
Le megafusioni nell’industria agroalimentare minacciano di scalzare le basi del nostro rifornimento di
alimenti e mettono anche a rischio i nostri sforzi per generare una resilienza climatica globale.
Permettere che la produzione agricola sia accaparrata da un numero sempre minore di attori è una ricetta per il disastro. A livello nazionale e internazionale, i governi devono rafforzare le proprie capacità di controllo e regolazione per impedire la formazione di oligopoli e cartelli di imprese, ma anche per fermare i tentativi di centralizzare le imprese che producono pesticidi, che vogliono divenire produttrici di semi, così come per far sì che nemmeno le compagnie produttrici di macchinari agricoli possano controllare la produzione di agrochimici e semi, la gestione delle polizze di assicurazione agricole, eccetera.
Inoltre, i governi devono osservare attentamente i processi di innovazione tecnologica corporativa,
riconoscendo che l’attuale sistema di proprietà intellettuale soffoca lo sviluppo di un’innovazione
veramente utile e ritarda il progresso tecnico. Per imboccare il cammino verso la sovranità intellettuale, il
mondo ha bisogno di una nuova definizione di veri innovatori, che includa i piccoli produttori agricoli e i
ricercatori del settore pubblico, senza che questi siano colpiti da politiche di deregolazione che conferiscono tutti i vantaggi solo alle grandi imprese.

I fori
Il campo di battaglia internazionale consiste è in tutti i luoghi in cui le Grandi Sei e le mega imprese mondiali di fertilizzanti e macchine agricole fanno pressione affinché, da un lato, venga loro conferito un maggior potere di mercato sotto la maschera dell’”agricoltura climaticamente intelligente”, mentre, dall’altro lato, cercano di evadere tutte le restrizioni antimonopolio e il controllo regolativo sulle ultime tecnologie ad alto rischio (per esempio, la biologia sintetica).
Aldilà dell’urgente necessità di sospendere (o, meglio ancora, annullare) i monopoli esclusivi della proprietà intellettuale, il principale campo di battaglia si trova nel Sud globale, la regione del mondo segnata dalla maggior crescita dei commerci agricoli. Non ci sarebbe beneficio alcuno per gli agricoltori né per i consumatori se, per esempio, Argentina, Brasile, Sudafrica, Cina o Indonesia accettassero il controllo
corporativo straniero sui primi anelli della sua catena di sicurezza alimentare. Se solo due o tre di questi
Paesi diranno di no, le megafusioni di imprese semplicemente non avranno luogo e cambierà la strategia di tutti gli attori coinvolti.

Spariranno per sempre le Grandi Sei?
Le vendite di semi geneticamente modificati si stanno riducendo, il flusso di agrochimici si sta fermando e i prezzi dei prodotti agricoli crollano. Gli investitori esigono ricavi e dividendi più alti di quelli delle grandi
imprese agroindustriali. La nuova frenesia di accaparramento è cominciata con l’offerta di 45 miliardi di
dollari che ha fatto la Monsanto per acquistare Syngenta, nell’aprile del 2015. Anche se l’offerta fu rifiutata due volte da Syngenta, se si fosse realizzata avrebbe dato vita ad una colossale impresa di agrochimici, che controllerebbe il 45% del mercato mondiale di semi e il 30% di quello dei pesticidi (se si prendono come punto di riferimento le vendite di entrambe le compagnie nel 2014 senza i disinvestimenti).
I negoziati circa possibili fusioni corporative si stanno svolgendo in tutto il settore degli affari agroalimentari.
Nelle parole di un direttore esecutivo: “Tutti stanno parlando con tutti”.
Così, per esempio, nel momento in cui veniva scritto questo rapporto:
● Syngenta ha rifiutato un’offerta di 42 miliardi di dollari fatta da ChemChina (l’impresa parastatale cinese),
che nel 2011 ha acquistato la settima maggior impresa agrochimica del mondo.
● Dow parlava pubblicamente di separarsi dalla sua unità produttiva di semi e agrochimici.
● DuPont era sotto pressione per la vendita dei suoi interessi nel giro d’affari agroalimentare e giravano voci
che stesse portando avanti negoziati per unire la sua unità agroalimentare con quella di Dow.
● Monsanto ha continuato a esplorare possibilità di fusione e di acquisizione, tra le quali era inclusa una
terza offerta per acquistare Syngenta, mentre incrementava i suoi investimenti in imprese di gestione dei
dati.
● Bayer ha annunciato che avrebbe venduto l’affare della fabbricazione di plastica per concentrarsi nella
farmaceutica e nel settore di pesticidi e semi.
● BASF ha ottenuto un finanziamento per acquistare Syngenta, con lo scopo di fare una controfferta che
arrestasse la precedente fatta da Monsanto.
Le Grandi Sei: BASF, Bayer, Dow, DuPont, Monsanto, Syngenta
Con entrate totali di più di 65 miliardi di dollari in agrochimici, semi e biotecnologie (secondo le cifre del
2013), le Grandi Sei controllano:
● il 75% del mercato mondiale di agrochimici
● il 63% del mercato mondiale di semi
● più del 75% di tutta la ricerca privata nel settore di semi e pesticidi.
Negli ultimi decenni, la crescita degli investimenti privati in ricerca e sviluppo agricolo e zootecnico ha
superato di molto quella degli investimenti pubblici. Le attività corporative di ricerca e sviluppo non erano mai state così influenti prima: le Grandi Sei dominano il settore. Nel 2013, i preventivi di ricerca e sviluppo agricolo delle Grandi Sei (in agrochimici e semi) sono stati:
● 20 volte più grandi delle spese totali realizzate nel 2013 dal CGIAR (Gruppo Consultivo per la Ricerca
Agricola Internazionale) in ricerca e ottenimento di coltivazioni, incluse quelle finalizzate alla conservazione
del patrimonio genetico;
● 12 volte maggiore del preventivo di ricerca scientifica e sviluppo delle coltivazioni del Servizio di Ricerca
Agricola (ARS) del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.
La concentrazione del potere corporativo è un tratto caratteristico di ogni ramo del settore della produzione agricola. Gli economisti avvertono che quando quattro imprese controllano il 40% o più di un mercato, esiste un alto rischio di comportamento anticompetitivo (ossia, potenzialmente collusivo) e dannoso per l’innovazione. Nel ramo del commercio di semi, agrochimici e macchinari e strumenti agricoli, la concentrazione corporativa eccede, e di molto, la soglia del 40%.
Concentrazione del mercato controllata da tre imprese, 2013
AGROCHIMICI
(51% di concentrazione)
SEMI
(55% di concentrazione)
MACCHINARI AGRICOLI
(49% di concentrazione)
FERTILIZZANTI
(21% di concentrazione)
Syngenta 20% Monsanto 26% Deere 25% Agrium 8%
Bayer 18% DuPont 21% CNH 15% Yara 7%
BASF 13% Syngenta 8% AGCO 9% Mosaic 6%
Altre 49% Altre 45% Altre 51% Altre 79%

Aldilà delle Grandi Sei
I potenziali accordi di megafusione non si limitano alle Grandi Sei. Aldilà di queste, i giganti del settore
agricolo e zootecnico potrebbero diventare gli attori principali negli ambiti di pesticidi e semi. Tra queste
imprese si trovano, per esempio, grandi corporazioni produttrici di fertilizzanti, macchinari agricoli e
imprese cinesi dell’agroalimentare.
Le Grandi Sei controllano il 75% del mercato
globale di pesticidi
Sette imprese controllano il 71% del mercato
globale di semi
Syngenta 20% Monsanto 26%
Bayer 18% DuPont 21%
BASF 13% Syngenta 8%
Dow 10% Limagrain 5%
Monsanto 8% Dow 4%
DuPont 6% KWS 4%
Altre 25% Bayer 3%
Altre 29%

È l’industria cinese il jolly?
Mentre questo rapporto veniva redatto, Syngenta portava avanti dei negoziati per una possibile fusione con
la Corporazione Chimica Nazionale Cinese (ChemChina). La Cina rappresenta il terzo mercato nazionale più
importante per la vendita di agrochimici, dopo il Brasile e gli Stati Uniti. Ci si aspetta che il mercato di
pesticidi cinese, con un valore stimato in 4 miliardi e 800 milioni di dollari nel 2013, cresca fino ai 7 miliardi e 900 milioni di dollari nel 2019.
ChemChina è divenuta una delle principali imprese del ramo nel 2011, quando la sua sussidiaria, la
Corporazione Agrochimica Nazionale Cinese (CNAC) acquistò l’impresa Makhteshim Agan Industries,
israeliana, la settima maggior impresa produttrice di pesticidi del mondo, e prese il nome di ADAMA. Con
entrate di tre miliardi di dollari nel 2013, ADAMA vende pesticidi generici in più di 120 paesi. Nonostante il maggior mercato di ADAMA sia quello europeo (37% delle vendite), seguito da quello latinoamericano
(25%), l’obbiettivo strategico di questa impresa è la conquista del mercato nazionale di agrochimici cinese, il quale si trova attualmente frammentato e “maturo per il suo consolidamento”.
Nel 2014, ADAMA ha comprato quattro imprese agrochimiche cinesi che congiuntamente arrivavano ad una quota di vendite di 850 milioni di dollari. Una fusione con Syngenta conferirebbe a ChemChina una
partecipazione del 26% nel mercato mondiale degli agrochimici (in accordo con le entrate delle vendite del
2013), e farebbe decollare quest’impresa emergente alla prima posizione nel gigantesco mercato
agrochimico cinese. Dato che ChemChina vende principalmente pesticidi generici, una fusione con Syngenta le darebbe accesso a formule e prodotti di proprietà intellettuale che non farebbero suonare nessun allarme tra le varie agenzie regolatrici nazionali e globali.
Nel 2013, l’impresa cinese Shuanghui International (oggi conosciuta come WH Group) acquistò Smithfields Foods, la maggior impresa produttrice di carne di suino al mondo, per circa cinque miliardi di dollari.
Negli ultimi 15 anni, le importazioni cinesi di grano sono andate alle stelle, innalzandosi del 550%.
È possibile che, in qualsiasi momento, una gigante impresa agroindustriale cinese si lanci all’inseguimento
della Monsanto o di DuPont-Pioneer per garantirsi l’accesso alle tecnologie del mais e delle soia e così
rifornire le sue fattorie e allevamenti industriali? Un altro attore cinese di rilevanza è l’impresa parastatale COFCO, dedicata alla commercializzazione di grano, che attualmente “si sta rafforzando per divenire la risposta cinese a Cargill”, secondo il Wall Street
Journal.
Dov’é la carne?
Nel novembre 2015 un’alleanza strategica sino-coreana ha annunciato i suoi piani per costruire la più
grande fabbrica di clonazione di animali nel Tianjin, in Cina, con l’eventuale obbiettivo di produrre in massa
un milione di becerros clonati all’anno. Una domanda crescente di carne rappresenta una domanda ancora
maggiore di grano.

Il pavimento si muove
L’industria di fertilizzanti è di gran lunga il più grande ramo del settore di produzione agroalimentare.
Nonostante il potere di mercato delle imprese leaders in questo ramo appaia come meno concentrato
rispetto ad altri settori, l’industria dei fertilizzanti opera a partire da cartelli raggruppati per prodotto ed è
stata sotto vigilanza per decenni. Per esempio, nel Nord America, tre delle maggiori imprese produttrici di
fertilizzanti (la numero 4, Potash Corp. di Saskatchewan, la numero 3, Mosaic Co., e la numero 1, Agrium)
controllano le vendite di potassio, operando come un’“alleanza di commercializzazione” (marketing
venture), conosciuta come Canpotex (Canadian Potash Exporter, ossia Esportatori Canadesi di Potassio).
Canpotex controlla più di un terzo della capacità globale di produzione di potassio e una sola impresa,
Potash Corp., più della metà di questo terzo.
Secondo uno studio pubblicato nel 2013: “gli accordi collusivi tra le imprese produttrici di fertilizzanti sui
prezzi e la loro rispettiva partecipazione nel mercato hanno costituito la norma nella storia dell’industria
globale dei fertilizzanti commerciali dal decennio 1880”. Più recentemente, esiste una consapevolezza
sempre maggiore rispetto al fatto che i fertilizzanti sintetici contribuiscono in modo rilevante all’emissione
di gas effetto serra che distruggono l’atmosfera e che l’abuso nel loro consumo e la liscivazione nei suoli dei fertilizzanti nitrogenati hanno causato gigantesche “zone morte” in ecosistemi marini e di acqua dolce. Il costo stimato del danno ambientale delle emissioni di nitrogeno reattivo rientra tra i 70 e i 320 miliardi di euro, solo nella regione dell’Unione Europea.

Fertilizzare gli affamati?
Nonostante il ruolo tossico che svolgono i fertilizzanti chimici nell’espulsione di gas serra nell’atmosfera e
nella contaminazione ambientale, l’industria dei fertilizzanti ha intenzione di abbindolare gli incaricati dei
negoziati sulla crisi climatica della Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, sventolando la bandiera dell’“agricoltura climaticamente intelligente”.
Almeno il 60% delle imprese private membri dell’Alleanza Globale per l’Agricoltura Climaticamente
Intelligente (GACSA la sigla in inglese) proviene dal ramo dell’industria dei fertilizzanti. La più recente
campagna propagandistica dell’industria dei fertilizzanti consiste nel promuovere l’alimentazione degli
affamati attraverso la via della “fertilizzazione dei micronutrienti”, ossia attraverso l’applicazione di uno
schema “di amministrazione giudiziosa dei fertilizzanti” ai suoli per far innalzare i livelli di zinco (Zn), iodio (I) e selenio (Se) negli alimenti coltivati in essi.

“Agricoltura digitale”: la lotta per i guadagni di precisione
Le imprese giganti dell’industria mondiale dei fertilizzanti (per esempio Yara, Agrium e Mosaic) e quelle
della fabbricazione di macchine e strumenti agricoli (come Deere & Co., CNH e AGCO) stanno realizzando
grandi investimenti in imprese di gestione dei dati (Big Data), così come nella cosiddetta “agricoltura di
precisione”. (vedi tabella)
Il settore dei macchinari agricoli (cioè trattori, trebbiatrici, seminatrici, mietitrici, macchine per la
disinfestazione, eccetera) è oggi equipaggiato con strumenti digitali come sensori remoti, immagini aeree,
accesso a server remoti, e altri, per definire e far pervenire agli agricoltori i criteri e le raccomandazioni su come, dove e quando devono piantare i semi, irrigare, somministrare i pesticidi e/o i fertilizzanti.
I nuovi tipi di macchine agricole includono droni e trattori automatizzati (comandati mediante navigazione satellitare) e dipendono strettamente dalla generazione di dati digitali. I droni sono utilizzati in Giappone dalla fine degli anni Ottanta per disinfestare le coltivazioni con gli agrochimici. Almeno una di ogni tre scodelle di riso consumato nelle case giapponesi è stato disinfestato dai droni di una stessa impresa: la Yamaha. Quest’ultima spera di espandere il suo mercato e dirige la sua attenzione verso il mercato della disinfestazione dei vigneti nella valle di Napa, in California, Stati Uniti, e nella regione di Champagne, Francia. Deere & Co. ha venduto trattori autocomandati per più di un decennio e vende le sue tecnologie in più di cento paesi.
Deere & Co. ha già stretto alleanze strategiche con cinque delle Grandi Sei. All’inizio di novembre 2015, la
Deere ha acquistato Monosem, un’impresa europea produttrice di macchine piantatrici di alta precisione; il giorno seguente all’acquisizione, Deere ha annunciato l’acquisto dell’impresa statunitense (e proprietà della Monsanto) Precision Planting LLC, così come la firma di un accordo con l’impresa sussidiaria di Monsanto, Climate Corporation, affinché i macchinari e gli equipaggiamenti prodotti dalla Deere si interconnettessero (mediante reti cordless) con la piattaforma denominata Climate FieldView, proprietà di Monsanto, “quasi in tempo reale”. Tre mesi prima, AGCO ha annunciato che si era arrivati ad un accordo con Precision Planting per equipaggiare le macchine piantatrici prodotte da AGCO con le tecnologie di proprietà di Precision Planting.
Allo stesso tempo, AGCO mantiene una collaborazione con Bayer, DuPont e BASF.
L’obiettivo è offrire una piattaforma per la mappatura e il monitoraggio del clima, della presenza di malattie e delle condizioni dei suoli in tutta l’estensione coltivabile di ogni fattoria o unità produttiva. Monsanto chiama questa superficie gli “acri pagati” e spera di arrivare a coprire un’area tra i 300 e i 400 milioni di acri (tra i 120 e i 160 milioni di ettari) negli Stati Uniti, in Canada, Brasile, Argentina ed Europa Occidentale ed Orientale verso il 2025.

Seguendo le tracce del denaro
Nel 1981, il Gruppo ETC avvertì che la valanga di acquisizioni di imprese produttrici di semi da parte delle imprese agrochimiche avrebbe promosso lo sviluppo di varietà vegetali con brevetti, dipendenti da pesticidi brevettati. Diversi scienziati, del settore pubblico come del privato, sottovalutarono i nostri avvertimenti, qualificandoli come allarmisti, sottolineando che una tecnologia del genere non esisteva.
Tuttavia, già nel 1983, Ciba-Geigy (conosciuta oggi come Syngenta) pubblicizzava le sue nuove confezioni di semi e agrochimici in riviste specializzate del settore agricolo e zootecnico. Tuttavia, è stato solo con
l’introduzione di semi geneticamente modificati, nel 1995, che il mondo ha conosciuto le varietà di piante
resistenti agli erbicidi una confezione brevettata di semi e agrochimici che non potevano essere venduti
separatamente.
Non è che il Gruppo ETC fosse stato chiaroveggente negli anni Ottanta. Semplicemente, seguiamo le tracce del denaro.
Ora, il movimento delle Grandi Sei verso le piattaforme digitali e il crescente interesse similmente mostrato dalle imprese di macchinari e strumenti agricoli e di fertilizzanti mostrano che sta per realizzarsi un altro profondo cambiamento, man mano che le corporazioni seguono il denaro verso una maggior integrazione dei vari rami della produzione agricola.
Chi vincerà? Non esiste alcuna certezza al riguardo. Tuttavia, la bilancia sembra inclinarsi a favore delle
grandi imprese produttrici di macchinari. I semi, i pesticidi e i fertilizzanti fanno parte del grande pacchetto che queste imprese possono vendere. Le grandi produttrici di strumenti agricoli hanno accumulato decenni di esperienza con i trattori robotici che attualmente sono così automatizzati (con la navigazione satellitare) che gli agricoltori possono concentrarsi su altre cose, come per esempio gli schermi nelle cabine, che li inonderanno di dati o, letteralmente, addormentarsi al volante; invece, oggigiorno, i droni sono parte integrante dello strumentario (e in Giappone disinfestano i raccolti già dagli anni Ottanta).
Alla fine della giornata, tutto ciò che si deve fare è la gestione dei dati, portata avanti dal centro di comando (ossia il trattore), che realizza calcoli sul suolo, le condizioni del clima e del mercato per poi a partire da questi, stampare o presentare sullo schermo una raccomandazione sulla configurazione dei semi, sul pesticida e sul fertilizzante da utilizzare.

Pensiero creativo
Negli anni Ottanta, la forte concorrenza per le appena fuse imprese agrochimiche e di semi proveniva dai
programmi di ottenimento dei semi finanziati dai governi e dalle università. Non servì molto tempo a
persuadere i governi ad abbandonare i programmi di fitomiglioramento e di ottenimento dei semi e,
piuttosto, dedicare le risorse pubbliche a finanziare le necessità di ricerca delle imprese private.
Attualmente, le Grandi Sei hanno praticamente eliminato la concorrenza dei piccoli rivali e di quelli pubblici, però ora vedono un altro modo in cui i governi possono soddisfare le loro necessità: assicurando i loro raccolti.
Anche se l’assicurazione dei raccolti si amministra in modi diversi nelle varie parti del mondo, quasi sempre include l’intervento governativo tramite sussidi, così come la partecipazione dei settori parastatale e privato. Non c’è da sorprendersi quindi che le grandi corporazioni agroindustriali mantengano il loro interesse nel ramo delle assicurazioni dei raccolti per garantire che gli agricoltori comprino i loro prodotti.
Questa è già una pratica comune negli Stati Uniti, il maggior mercato di assicurazioni di raccolti al mondo (la Cina è il secondo): per il ciclo agricolo 2015-2016, per esempio, l’impresa John Deere Insurance Company ha collaborato con BASF per offrire una polizza denominata “Risk Advantage”, che offriva riduzioni nel pagamento dei premi e una maggior copertura dei rischi, se l’agricoltore avesse acquistato un minimo di tre agrochimici prodotti da BASF (uno dei quali doveva essere un funghicida), per coprire una superficie di almeno 500 acri (approssimativamente 202 ettari). Tuttavia, questa pratica non è circoscritta unicamente al territorio degli Stati Uniti: per esempio, la Fondazione Syngenta offre un’assicurazione denominata “Indice di Coltivazione Adattata al Clima” (Climate-Smart Crop-Index) agli agricoltori di mais e grano in Kenya e Ruanda, offrendo la protezione a chi accetta di abbandonare la pratica di conservare i propri semi e procede ad acquistare i “semi certificati” e i fertilizzanti di marca.
Swiss Re, una delle imprese assicurative più grandi del mondo pronostica che i premi di assicurazione pagati dai coltivatori nei mercati emergenti potrebbero raggiungere un volume tra i 15 e i 20 miliardi di dollari nel 2025. È logico che le grandi imprese agroalimentari esigano che gli agricoltori che desiderano assicurare i loro raccolti (o chiedere credito bancario) firmino i contratti di servizio completo che esse stesse offrono, così potranno stabilire quali prodotti brevettati dovranno usare gli agricoltori e come devono gestire le loro stesse terre.
Tuttavia, il cambiamento climatico sta ponendo dei limiti alle pretese delle grandi imprese, man mano che
queste giocano da entrambi i lati del tavolo. Avranno più guadagni forzando i loro clienti a pagare
assicurazioni vincolate a specifici prodotti, o il caos climatico avrà origine da pagamenti di coperture
irregolari o esorbitanti?
Negli Stati Uniti, le siccità del 2011 e le inondazioni del 2012 hanno obbligato le imprese assicuratrici di
colture a pensarci su due volte e la febbre delle fusioni e degli acquisti attraversa oggi un’industria già
altamente concentrata.
Nel 2015, la John Deere Insurance Co. si è disfatta del giro d’affari delle assicurazioni; la compagnia
assicuratrice OneBeacon e la sua socia Monsanto hanno venduto a AmTrust Financial Services la
partecipazione nel business delle assicurazioni dei raccolti che avevano nell’impresa Climate Corporation.
Giorni dopo, Wells Fargo ha annunciato che aveva intenzione di disfarsi del suo ramo assicurativo, Rural
Community Insurance Services, che concentra più del 20% del mercato statunitense. Le grandi imprese di gestione dei dati -specialmente quelle che trattano dati sul clima- possono restituire la redditività
all’industria delle assicurazioni dei raccolti o il clima è già diventato troppo caotico per adattarsi ai loro
piani?

Collaborazione stile Grandi Sei
La quota di mercato delle imprese non offre un’immagine completa del potere corporativo reale. È
importante, inoltre, esaminare il potere e l’influenza combinati delle Grandi Sei perché queste corporazioni non competono solamente tra loro, ma collaborano, come fossero un cartello, nei mercati altamente concentrati. Le sei grandi corporazioni fanno uso di un’enorme varietà di accordi inter-imprese per creare barriere e rafforzare il loro potere di oligopolio. Tra gli accordi siglati dalle imprese si trovano:
● Le licenze di uso dei caratteri genetici e della proprietà intellettuale – Le Grandi Sei usano i loro brevetti
monopolistici esclusivi per scambiare i caratteri genetici e altre tecnologie con le altre corporazioni. Il
proprietario del brevetto decide se desidera o meno conferire licenze di uso generale o specifico, così come
la quota coperta dalla licenza.
● Le alleanze in ricerca e sviluppo – Per esempio, BASF e Monsanto collaborano dal 2007 in società di
ricerca e sviluppo con investimenti che arrivano ai 2 miliardi e 500 milioni di dollari. Queste due imprese
collaborano in sei distinti progetti di ricerca e sviluppo: ottenimento dei semi, biotecnologie, pesticidi,
microbi e prodotti biologici per l’agricoltura e agricoltura di precisione.
● Le tregue nei litigi per i brevetti – Se le battaglie giudiziarie per i brevetti diventano troppo onerose, le
Grandi Sei possono dissolvere le loro differenze e minimizzare il mutuo danno. Nel 2013, per esempio,
DuPont e Monsanto si sono accordate per ritirare le reciproche querele antimonopolio e di violazione dei
brevetti e hanno firmato un accordo di brevetti incrociati del valore di un miliardo e 750 milioni di dollari,
rifiutando così un verdetto col quale una giuria aveva condannato DuPont a pagare un miliardo di dollari a
Monsanto. Un dirigente di Dupont l’ha chiamata “una maniera più razionale di competere”.
● Gli accordi sui caratteri generici – Cinque delle Grandi Sei hanno disegnato degli accordi per amministrare
il cosiddetto regime regolativo “post-brevetto”. Gli “accordi” sono contratti giuridicamente vincolanti tra le parti firmatarie, che stabiliscono le regole per l’accesso ai caratteri biotecnologici generici al momento della scadenza del brevetto. Il Gruppo ETC chiama questa pratica “il cartello della carità”.
(http://www.etcgroup.org/es/content/los-gigantes-gen%C3%A9ticos-hacen-su-c%C3%A1rtel-de-la-caridad)

Semi di coltivazioni estensive
Tre imprese -Monsanto, DuPont e Syngenta- controllano il 60% del mercato dei semi di coltivazioni
estensive.
Cinque delle Grandi Sei (eccettuata la BASF) concentrano il 68% del mercato di semi di coltivazioni estensive.
Il termine “semi di coltivazioni estensive” fa riferimento ai principali tipi di semi commerciali destinati alla produzione di foraggio, zucchero, oli e/o fibre (cioè, né vegetali né ortaggi). Il mercato di semi per colture di questo tipo era valutato in 33 miliardi e 900 milioni di dollari nel 2013, ossia l’86% del valore totale del mercato mondiale di semi in quello stesso anno.

Concentrazione dei semi vegetali
Quattro grandi imprese concentrano il 43% del mercato mondiale di semi di vegetali. In alcune zone
geografiche, quest’industria è molto più concentrata. Tra le quattro principali imprese, solo Limagrain non
rientra tra le Sei Grandi imprese agrochimiche. Le prime dieci imprese concentrano così più del 70% del
mercato di semi di vegetali. Questo mercato era valutato in 5 miliardi e 634 milioni di dollari (o il 14% del
mercato mondiale di semi, il cui valore stimato era di 39 miliardi e 400 milioni di dollari) nel 2013.

I dieci principali mercati nazionali di agrochimici
Dieci Paesi concentrano il 69% del totale delle vendite mondiali di agrochimici. Il Brasile ha superato gli StatiUniti nel 2014 e è il secondo mercato più importante per Monsanto e Syngenta. L’importanza dei mercati emergenti diventa cruciale quando si abborda il problema della regolazione antimonopolistica. I Paesi del Sud globale -specialmente Brasile, India, Argentina e Cina- potrebbero svolgere un ruolo decisivo di fronte ai piani di fusione delle Grandi Sei.

Monsanto e i trattori della John Deere
Al contrario di quello che dicono le corporazioni, la frenesia per le fusioni e le acquisizioni non avviene per
conseguire innovazioni tecnologiche o una maggior efficienza. Invece, avviene precisamente a causa del
fallimento nella diversificazione e nell’innovazione. Se questo colpisce tutte le Grandi Sei, la Monsanto è
sempre più vulnerabile su diversi fronti:
La Monsanto ha bisogno di acquisire nuova chimica e di diversificare il suo flusso di entrate. Per due
decenni, i suoi prodotti Roundup Ready le hanno assicurato guadagni – ossia, i semi e i caratteri venduti (o brevettati) assieme al successo commerciale più grande della compagnia, l’erbicida Roundup, il cui nome generico è glifosato.
Il Roundup è l’agrochimico brevettato con le maggiori vendite nella storia. Oggi, il glifosato è l’ingrediente
chiave in circa 700 prodotti agrochimici in tutto il mondo. Solo negli Stati Uniti, l’uso del glifosato in mais e
soia è aumentato di venti volte dal 1995 al 2013: da 10 a 205 milioni di libbre all’anno. Il suo utilizzo globale è aumentato di più di dieci volte. Però dopo due decenni di guerra sostenuta contro le erbe, le “super erbacce” resistenti al glifosato stanno proliferando e le coltivazioni Roundup Ready stanno soffocando nei campi. Negli Stati Uniti gli agricoltori oggi affrontano quasi quattro milioni di ettari invasi da erbacce resistenti al glifosato in 36 Stati. In tutto il mondo, almeno 24 specie di erbe attualmente sono resistenti all’agrochimico.
Nel marzo 2015, il Centro Internazionale di Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assestato un altro colpo al prodotto agrochimico principe della Monsanto, concludendo che il glifosato
“probabilmente” provoca il cancro negli esseri umani. Approssimativamente l’85% delle vendite annuali
della Monsanto provengono dai suoi prodotti insegna, che stanno invecchiando o presentano dei difetti: nel 2013, le vendite di semi di mais transgenico hanno costituito il 44% delle vendite totali di Monsanto, i semi di soia transgenica hanno rappresentato l’11%delle vendite della compagnia. Gli erbicidi del tipo Roundup hanno prodotto una terza parte dei guadagni di Monsanto l’anno scorso.
Ma la conduttura dei pesticidi di Monsanto si sta asciugando. I dirigenti della corporazione vedono Syngenta come il prossimo acquisto, a causa del suo arsenale chimico, e per il fatto che almeno la metà dei guadagni di questa compagnia provengono dai mercati emergenti.
Alla ricerca di guadagni precisi: nel 2012, un dirigente di Monsanto congetturava sul fatto che la sua
compagnia sarebbe stata presto conosciuta come un’impresa di tecnologie dell’informazione.
Da allora, la Monsanto ha speso più di un miliardo di dollari nell’acquisto di tre imprese di informazione
climatica digitale per l’agricoltura. Nel giugno del 2015 la Climate Corporation di Monsanto ha annunciato
che gli agricoltori degli Stati Uniti avevano mappato più di 30 milioni di ettari nella sua piattaforma digitale agricola, 20 milioni in più di quello che avevano mappato nel 2014. Una superficie equivalente al 45% di tutte le aree coltivate in mais e soia negli Stati Uniti. Sembra impressionante, ma la maggior parte degli agricoltori hanno provato la piattaforma digitale gratuitamente e non i servizi con “quota premium” (oggi chiamati Fieldview Plus e Fieldview Pro).
Si è avvisato che, a causa delle vendite molto basse, Monsanto doveva ridurre la sua quota di 15 dollari per acro a soli 3 dollari. Nel giugno del 2012, la corporazione ha spiegato che la sua piattaforma di servizio
pagata (“pagamento per acro”) copriva due milioni di ettari di terre coltivate, più del mezzo milione di ettari dell’anno precedente. I servizi di pagamento per acro includono, per esempio, un “Assessore al nitrogeno” (Nitrogen Adviser), che prescrive la quantità ottimale di nitrogeno per massimizzare il potenziale di rendimento, o un “Assessore alla salute del terreno” (Field Health Adviser), che utilizza immagini satellitari per valutare l’avanzamento delle malattie e prescrivere trattamenti insetticidi o fungicidi.
Lo slancio delle imprese più potenti dell’agricoltura per prendere il controllo dell’agricoltura digitale fa
sorgere delle controversie a causa delle preoccupazioni degli agricoltori circa il possesso e il controllo delle
informazioni sul terreno, della sicurezza e della privacy.
Appezzamenti marchiati Monsanto: l’anno scorso le vendite della Monsanto negli Stati Uniti hanno
rappresentato più della metà delle sue vendite in tutto il mondo, il 54%. Si calcola che le entrate degli Stati Uniti per l’agricoltura siano precipitate di un terzo nel 2015 -il livello più basso dal 2009- e gli agricoltori si disperano per ridurre i suoi costi.
Intanto, anche la forza del dollaro sta colpendo le vendite di Monsanto in altri Paesi, specialmente nelle
economie del Sud, come Brasile e Argentina, dove la Monsanto possiede un mercato gigante per i suoi mais e soia transgenici.
Scansare le tasse: la Monsanto è una delle molte corporazioni statunitensi con la voglia di trasferirsi in Paesi che chiedano minori pagamenti di imposte alle imprese, una strategia conosciuta negli Stati Uniti come “tax inversion”, che si riferisce al cambiamento di domicilio legale di un’impresa verso un Paese che riscuota imposte più basse nonostante mantenga tutta l’attività nel Paese d’origine.
Secondo un analista, una potenziale fusione con Syngenta permetterebbe alla Monsanto di ridurre le sue
imposte di più di 500 milioni di dollari e quasi la metà della sua quota tassabile netta.
Maquillage corporativo: la strategia di acquisto della Monsanto ha portato al fatto di essere citata in
maniera dispregiativa ovunque. Nelle menti dei consumatori di tutte le latitudini la Monsanto rappresenta il demonio dell’agricoltura industriale e dopo quasi due decenni di controversie, i consumatori non possono ancora digerire gli alimenti transgenici (se sanno quali sono e se è loro data una scelta). Non importa quali fusioni o acquisizioni si concretizzino dopotutto, molti pensano che il nome Monsanto passerà presto alla storia.

Innovazione e concentrazione corporativa
L’industria di semi e agrochimici argomenta che i brevetti monopolistici portano benefici alla società perchéstimolano l’innovazione tecnologica. Ma addirittura il serio The Economist ha recentemente espresso un’opinione sul pieno fallimento del sistema dei brevetti per stimolare l’innovazione:
“I consolidati sistemi dei brevetti non sembrano condurre a una maggior innovazione. Questo è già di per sé deludente, ma l’evidenza suggerisce qualcosa di peggiore. Si suppone che i brevetti distribuiscano la
conoscenza, obbligando i loro proprietari a mostrare apertamente le loro innovazioni. Questo non accade
quasi mai perché gli avvocati dei brevetti sono esperti nella confusione. Il sistema ha creato un’ecologia
parassita e paranoici proprietari di brevetti che cercano solo di bloccare l’innovazione o crearle ostacoli a
meno che possano portar via qualcosa dal bottino. (…) I brevetti dovrebbero promuovere degli scoppi di
innovazione. Invece si utilizzano per blindare i vantaggi di chi li possiede.”

Innovazione agrochimica stagnante

Con il consolidamento delle imprese di agrochimica nelle mani di poche e grandi corporazioni, l’innovazione nell’area degli agrochimici si è paralizzata. Secondo gli analisti dell’industria:
● Il numero di compagnie che portano avanti la ricerca e lo sviluppo nei pesticidi è diminuito della metà tra
il 1995 e il 2012: da 35 a 18 compagnie.
● Il numero di nuovi ingredienti attivi per emergere nel mercato è diminuito del 60% tra il 2000 e il 2012
● Tra il 1995 e il 2015, il costo dello sviluppo dei pesticidi è cresciuto del 118%, ma la maggior parte della
spesa in ricerca e sviluppo è stata dedicata a mantenere le vendite dei vecchi prodotti chimici, i cui brevetti stanno per scadere.
“In un panorama globale, il numero di agrochimici che vengono sviluppati si sta riducendo soprattutto a
causa del fatto ci sono meno compagnie coinvolte, che pongono meno attenzione all’area dei semi , e una
porzione importante degli investimenti in ricerca e sviluppo si spendono nel difendere prodotti il cui brevetto è in scadenza, come le tecnologie per il trattamento dei semi o lo sviluppo di formulazioni, invece della ricerca in nuovi ingredienti attivi.”
– Phillips McDougall, analista dell’industria
Per le Grandi Sei, è molto più lucrativo lo sviluppo di semi geneticamente modificati che ingrossino le
vendite di prodotti chimici brevettati invece di sviluppare soluzioni agrochimiche alle malattie e al
cambiamento climatico. In tutto il mondo, approssimativamente l’85% dell’area totale dedicata a
coltivazioni transgeniche nel 2014 conteneva almeno uno dei tratti genetici di tolleranza agli erbicidi.
Secondo calcoli industriali, costa in media 136 milioni di dollari sviluppare una nuova coltura transgenica, e 256 milioni di dollari – quasi il doppio – collocare un nuovo ingrediente attivo nel mercato.
Detto con chiarezza: visto che un’impresa passa per tutte le spese e le manovre regolative per collocare nel mercato un nuovo pesticida, ha senso che si concentri sullo sviluppo di varietà vegetali più a buon mercato che possano resistere o aver bisogno della tossina brevettata in questo nuovo pesticida.
Ciò significa che una compagnia non ha incentivi a sviluppare le varietà vegetali che necessitano meno
tossine per resistere alle malattie.
L’industria insiste che l’innovazione viene strangolata dal peso che impongono i duri ambiti regolativi e dalle formalità burocratiche che implicano onerose “prove in campo” e la raccolta di informazioni. Però è
importante ricordare che per quanto costose e complesse siano le ingiunzioni regolative, è più grande la
barriera per entrare nel gioco, specialmente per i piccoli competitori. Combinati, i brevetti monopolistici e le regolazioni permettono che le Grandi Sei guadagnino e mantengano il loro predominio sul mercato.
“Per quanto costoso e complesso sia il processo regolativo, è più grande la barriera affinché nuovi prodotti
entrino nella competizione. Inoltre, l’ostacolo che rappresentano le ingiunzioni regolative può rafforzare
l’esclusività creata dai brevetti e da altre forme di proprietà intellettuale. Insieme formano un regime di
proprietà intellettuale che le compagnie utilizzano per guadagnare e mantenere i vantaggi competitivi.”
– David Jefferson e al., Nature Biotechnology, agosto 2015
Più opzioni?
In luglio, il presidente della Monsanto ha insistito sul fatto che la possibile mega-fusione della compagnia
con Syngenta creerebbe più opzioni per gli agricoltori. Però molti studiosi indicano che la concentrazione del mercato significa precisamente il contrario. Due studi recenti pubblicati in Europa mostrano che i
fitomiglioratori corporativi offrono meno varietà e virano verso colture più lucrative per le proprie
compagnie, non per gli agricoltori. Uno studio del 2005 su cinque Paesi del nord indica che il
consolidamento imprenditoriale (dal 1950 ad oggi) è risultato in una diminuzione del numero di colture
disponibili, in uno spostamento dei riflettori verso coltivazioni e varietà ibride più lucrative per le
compagnie, e nella fine dei programmi di fitomiglioramento delle coltivazioni di interesse per la regione.
Una ricerca del 2013 sulle varietà di mais disponibili in Spagna, Germania, Austria e Svizzera scoprì che le compagnie locali di semi e le organizzazioni per il fitomiglioramento aumentano le opzioni degli agricoltori, invece i fitomiglioratori multinazionali hanno offerto molte meno opzioni.

Consolidamento e prezzi dei semi
Il consolidamento dell’industria dei semi sfocia anche in prezzi sproporzionalmente alti. Per esempio, dal
1990 al 2010, i prezzi della produzione agricola negli Stati Uniti sono saliti più rapidamente rispetto ai prezzi che gli agricoltori ricevevano per le materie prime prodotte. I prezzi dei semi sono saliti maggiormente dei prezzi del resto della produzione, più del doppio rispetto al prezzo che gli agricoltori hanno ricevuto per le loro coltivazioni. Negli Stati Uniti, tra il 2000 e il 2008 i prezzi dei semi e la produzione sono aumentati in media del 30%.

Regolazione antimonopolio. Agli “arresti domiciliari”?
Dopo decenni di reazioni inesistenti di fronte alle mega fusioni corporative in praticamente tutti i settori, è
difficile capire in che grado le nuove entità combinate saranno costrette a cedere alcune porzioni dei loro
attivi. È realistico credere che ci sarà un ritardo di molti mesi prima che qualsiasi accordo annunciato riceva l’autorizzazione finale in tutte le giurisdizioni. E qualunque fusione annunciata sicuramente provocherà una cascata di ulteriori transazioni. Il valore totale delle fusioni e acquisizioni del 2015 è avviato a rompere il record di 4.3 bilioni di dollari registrato nel 2007 (giusto prima del collasso dei mercati finanziari globali).

Elenco delle fusioni recenti o pendenti nell’industria dell’alimentazione:
● Kraft Foods si è fusa con H. J. Heinz nel 2015, dando vita alla quinta impresa di alimenti e bibite più grande del mondo.
● L’accaparramento, da parte di Anheuser-Bush in Bev (ancora in sospeso), con un valore di 107 miliardi di dollari, di SABMiller Plc, creerà una mega birreria che controllerà quasi il 30% delle vendite globali di birra.
● L’offerta di CF Industries Holdings di 8 miliardi di dollari per acquistare gli attivi in Europa e Nordamerica di fertilizzanti nitrogenati di OCI. Questa fusione rivaleggerà con il leader industriale Yara.
I regolatori antimonopolio negli Stati Uniti hanno una pessima storia nell’impedire le mega-fusioni delle
grandi corporazioni agricole. La Monsanto ha segnalato sfacciatamente che la sua offerta di fusione con
Syngenta non creava preoccupazioni agli Stati Uniti perché lì “non ci sono precedenti di regolazione delle
fusioni di conglomerati negli ultimi 40 anni”.
La compagnia aveva una tale fiducia nel fatto che i regolatori antimonopolio avrebbero approvato la fusione proposta (con disinvestimenti del settore semi e agrochimici) che la Monsanto si è impegnata a dare a Syngenta una commissione di 3 miliardi di dollari se la fusione si fosse bloccata in ultima istanza.

Nota storica
Verso la fine della seconda amministrazione di Bill Clinton come presidente degli Stati Uniti, appena dopo
che il venditore di grano più grande del mondo, Cargil, ebbe acquistato il secondo esportatore di grano più
grande del pianeta, Continental Grain Company, venne introdotta una proposta di legge in entrambe la
Camere, con una dozzina di sponsor degli stati agricoli, “che avrebbe imposto una moratoria sulle enormi
fusioni tra le imprese agroalimentari e avrebbe stabilito una commissione per rivedere la concentrazione e il potere di mercato di dette fusioni” (H. R. 3159 e S. 1739, The Agribusiness Merger Moratorium and
Antitrust Review Act of 1999 – moratoria sull’agrobusiness, moratoria alle fusioni e legge antimonopolio del 1999). La commissione del Congresso avrebbe fatto raccomandazioni su come modificare le leggi
antimonopolio “per mantenere un mercato agricolo competitivo ed equo per gli agricoltori familiari, altri
produttori agricoli medio – piccoli e gli agricoltori in generale, e per le comunità di cui fanno parte.”
La legge offriva il contesto e l’argomentazione:
“La crescente concentrazione del settore agricolo ha ristretto le opzioni per gli agricoltori che cercano di
vendere i propri prodotti. Nella misura in cui il potere di negoziazione delle società agroalimentari aumenta, i mercati di materie prime si ritorcono contro l’agricoltore. La concentrazione, i prezzi bassi e le pratiche anticompetitive, così come altre manipolazioni e abusi dell’economia agricola stanno espellendo gli agricoltori familiari dal mercato […] La diminuzione dell’agricoltura a conduzione familiare danneggia
l’economia delle comunità rurali in tutta l’America […] La crescente concentrazione nel settore
dell’agrobusiness ha un effetto nocivo per l’ambiente […] Per restaurare la competizione nell’economia
agricola, e per aumentare il potere di negoziazione ed arricchire le prospettive economiche degli agricoltori familiari, deve invertirsi la tendenza alla concentrazione.”
Dopo poco più di un anno iniziò la presidenza di George W. Bush. La legge non entrò mai in vigore, anche se ne apparvero versioni scolorite in altre sessioni del Congresso finché alla fine si cominciarono a scartare gli argomenti in sospeso. Com’è successo che la legge del 1999, che descriveva la necessità di una moratoria sulle fusioni tra le corporazioni agricole e pareva tanto ovvia e necessaria, sia stata tacciata come “radicale” dieci anni dopo?
La cosa certa è che le grandi dell’agricoltura fecero leva sul motto “alimentare il mondo” e con questo
iniziarono a fuggire da ogni limite. Ora stanno cercando di convincerci del fatto che l’agricoltura industriale è “intelligente” per affrontare il cambiamento climatico. In momenti critici della nuova ondata di fusioni e acquisizioni di affari agricoli, una moratoria sulla formazione di monopoli e una significativa revisione della concentrazione in questo settore sono più urgenti che mai.

Il Sud può frenare le mega fusioni e i mega tiranni agricoli?
Ma la discussione non si limiterà alle regolazioni antimonopolio negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Cina,  Brasile, India e Argentina si trovano tra i primi dieci mercati per i pesticidi e non dovrebbero venire ignorati.
Il Brasile da solo potrebbe far fallire qualunque fusione. Le compagnie, gli agricoltori e i consumatori nel Sud globale che possono essere danneggiati dalle mega fusioni agricole, assieme ai regolatori antimonopolio in quei mercati, dovrebbero protestare. Che sia un bene o un male, alcuni paesi nel Sud globale sovvenzionano i costi dei fertilizzanti e dei prodotti chimici, e non li compiacerebbe vedere che i costi aumentano con la concentrazione delle corporazioni. Anche i governi del Sud potrebbero assicurare le prospettive dei loro mercati nazionali, poi un giorno (forse presto) potrebbero comprare una delle Grandi Sei senza attirare l’attenzione degli uffici di regolazione antimonopolio dell’Unione Europea e/o degli Stati Uniti.

Conclusione
Le mega fusioni delle grandi imprese del settore agricolo incrementeranno i costi, faranno diminuire
l’innovazione, ridurranno le opzioni disponibili e danneggeranno la diversità. A livello nazionale, le istanze
regolative delle pratiche anticompetitive – specialmente quelle del Sud globale – hanno la responsabilità di
rivedere, rafforzare e applicare le proprie legislazioni antimonopolistiche.
Le alleanze intersettoriali delle corporazioni agroalimentari, che includono accordi per la gestione, analisi e
procedimento dei dati informatici sulle attività degli agricoltori rispetto all’uso di macchinari ed
equipaggiamenti agricoli, semi, fertilizzanti, pesticidi, assicurazioni di copertura, tra gli altri, spianano il
cammino per una collusione e un controllo corporativo senza precedenti dei primi anelli della catena
alimentare industriale. Si richiedono azioni urgenti per vigilare, regolare e frenare il potere corporativo
prima che la sovranità alimentare e la giustizia climatica delle nazioni e dei popoli si vedano ancora più
minacciate.
Come primo passo, le imprese che possiedono unità produttive dedicate alla produzione di semi e
fertilizzanti, dovrebbero essere frammentate. Gli incaricati dell’applicazione delle politiche di competizione economica dovrebbero lottare per rendere illegale il fatto che una corporazione venda semi la cui viabilità e/o produttività dipendono dall’uso complementare di una sostanza chimica di sua proprietà.
A livello internazionale, è imperativo che i governi prendano pienamente coscienza dell’impatto devastatore che le mega fusioni e il consolidamento nel settore imprenditoriale agricolo avranno sulla vita e l’attività di milioni di piccoli agricoltori, la sicurezza alimentare, la crisi climatica e la biodiversità.
Alcuni passi indispensabili da seguire includono:
I governi parte dell’Accordo delle Nazioni Unite per il Cambiamento Climatico devono rifiutare la
propaganda delle imprese di una “agricoltura climaticamente intelligente” e, invece, promuovere strategie di resilienza o recupero davanti al caos climatico, basate sull’agroecologia. Le strategie avanzate di azione per la sopravvivenza di fronte alla crisi climatica, portate avanti da piccoli agricoltori, devono essere riconosciute, rafforzate e appoggiate con l’intervento diretto delle comunità e delle organizzazioni degli agricoltori.
Nella sua riunione del 2016, il Comitato sulla Sicurezza Alimentare (CFS) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) deve abbordare il problema delle megafusioni corporative come un tema emergente e della più alta priorità. In sua qualità di organo principale di deliberazione sulla crisi che colpisce la sicurezza alimentare, è molto urgente che il CFS assuma la leadership dell’esame degli impatti della concentrazione corporativa e della formazione dei cartelli sulla sicurezza alimentare globale. È già diventata imperiosa la necessità di azioni regolative su scala nazionale, regionale e globale.
Le parti della Convenzione sulla Diversità Biologica dell’ONU che si riuniranno a Cancún, in Messico, nel
dicembre del 2016 (COP13) devono esaminare la concentrazione corporativa nel settore industriale
alimentare e agricolo e gli impatti che avrà sull’equità dell’accesso e della distribuzione della biodiversità
agricola, specialmente per i piccoli produttori agricoli (indigeni, contadini, piccoli proprietari), nei Paesi del
Sud globale.
Materiali tradotti da
http://www.etcgroup.org/es/content/campo-jurasico

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